Llewelyn Lloyd: Elba, l’amore di una vita
Sulle motivazioni che indussero Llewelyn Lloyd a recarsi nel 1907 all’Isola d’Elba, negli appunti dell’artista pubblicati postumi nel volume Tempi andati del 1951, non si trovano accenni; eppure che proprio da quel breve soggiorno la produzione artistica e, forse, la vita stessa del pittore sia stata fortemente influenzata è fuori di ogni dubbio.
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L’Elba era conosciuta agli artisti toscani poiché già nei decenni precedenti in molti vi si erano recati per dipingerne le bellezze: Pietro Senno che nativo dell’isola quasi ogni anno vi ritornava, Telemaco Signorini, Alfonso Hollaender, Cesare Ciani, Fabio Fabbi e, prima ancora Emilio Donnini, il Markò, Lorenzo Gelati, Ugo Manaresi.
Quando nel settembre di quell’anno, con alcuni amici Llewelyn Lloyd raggiunse Marciana Marina, il piccolo paese non si era ancora ripreso dalle gravissime ferite provocate dalla tremenda alluvione di alcuni anni prima. A memoria d’uomo l’Elba non aveva mai subìto un terrificante nubifragio come quello che la colpì il 31 ottobre del 1899, un nubifragio che particolarmente si accanì sul versante marcianese, distruggendo e addirittura cancellando il lavoro di intere generazioni.
Ma a toccare la sensibilità artistica di Llewelyn Lloyd stimolandone l’estro, non furono tanto le case diroccate, gli alberi rinsecchiti, le aride pietraie che dopo la violenza delle acque avevano preso il posto dei ridenti vigneti; ad invogliarlo a tornare furono piuttosto la selvatica bellezza del luogo e l’indole ospitale degli abitanti.
Così il pittore ritornò a Marciana Marina l’anno seguente trattenendovisi l’intera estate. E se l’anno prima si era limitato a fermare poche, rapide impressioni, specialmente suggeritegli dalle caratteristiche casette del Cotone, nel corso del nuovo soggiorno l’artista spaziò in lungo e in largo per il paese dipingendone aspetti segreti, angoli nascosti, scorci deliziosi.
Né tuttavia trascurò i dintorni, che per le risorse della natura e il paziente lavoro dell’uomo andavano lentamente cancellando le molte ferite lasciate dall’alluvione; a testimonianza di quegli eventi tragici restano tuttavia diverse tele, tra le più belle di quegli anni: Il castagno morto, L’osteria chiusa, La casa nel torrente, Il cantiere distrutto.
Proprio in quei mesi, pur senza rinnegare completamente un’esperienza divisionista portata avanti per qualche anno con entusiasmo, Lloyd stava lentamente ritornando a una pittura più schiettamente toscana.
Tre le opere più felici che nel 1908 egli esegue all’Elba il già ricordato Castagno morto, nel quale liricamente e felicemente si fondono la soave melanconia dell’ora e la dolcezza di un paesaggio pur segnato ancora dalla violenza dell’alluvione. Presentato a Parigi nel 1909 il dipinto riscosse un grande successo che si ripeté l’anno seguente a Bruxelles dove ottenne anche un premio; la bella tela qualche anno dopo venne acquistata per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal Governo italiano.
Sempre eseguiti nel 1908 meritano una particolare menzione anche il Monte Capanne assieme a Vecchie case di pescatori: le due grandi tele infatti, assai ammirate alla Seconda Esposizione Quadriennale tenutasi a Torino, subito trovarono un compratore.
In quell’anno Lloyd eseguì alcuni pastelli con esiti assai felici: un Golfo di Procchio fece ben presto bella mostra di sé nella casa di Ugo Ojetti, e una Veduta del Golfo di Procchio da Spartaia venne acquistato da un altro fine intenditore fiorentino.
È invece del 1909 L’addio del Sole nel Golfo di Procchio, una bella tela che rappresenta la «minima» dei lunghi anni di studi e di esperimenti che l’artista dedicò alla ricerca di una sempre migliore resa della luce attraverso la tecnica divisionista; vi si ravvisano infatti riuscite reminiscenze di quella particolarissima maniera.
Due anni dopo sono gli Scafi a riva, Il Castagno secolare e L’ora dell’Ave Maria tutto giocato in controluce, ispirato da un angolo riarso della campagna marcianese che, dopo essere stato esposto alla Biennale veneziana, venne acquistato dalla Galleria Nazionale di Lima.
Nel 1913, anno nel quale acquista una casetta a Marciana Marina, Lloyd presenta alla Seconda Esposizione Livornese numerosi lavori di soggetto elbano con buon successo di vendite; la sua tavolozza, personalissima, inconfondibile, si è fatta ora quanto mai luminosa, e i colori squillanti, smaltati, accompagnano un disegno preciso e nitido più di sempre, cercato e ottenuto attraverso l’uso sapiente del colore.
Neppure la guerra mondiale interrompe la consuetudine del pittore e della sua famiglia di trascorrere all’Elba gran parte dell’estate. Nella tranquillità della sua casetta ribattezzata «Il Paradiso» sempre più spesso si dedica alla natura morta, al ritratto, agli interni con ottimi risultati, ma saranno sempre Marciana Marina, Procchio il retroterra marcianese, il porto, le barche, il mare a rappresentare la fonte principale d’ispirazione.
Le piccole tavolette come le opere più impegnative dipinte in quegli anni colgono mirabilmente e fedelmente l’atmosfera elbana nell’accecante luce dei meriggi estivi e nelle incerte ombre serali, con efficacia fermano il pigro frangere del mare in bonaccia come il fremito dell’onda per l’improvvisa raffica; appuntano con devozione in primavera i verdi acerbi della campagna come gli ori sontuosi, i rossi aggressivi delle vigne in autunno; sottolineano con sapienza le contorsioni improbabili dei rami delle tamerici lungo la spiaggia, fermano con verità e pochi tratti decisi la linea a volte slanciata o tozza dei bastimenti e delle barche vinaie.
Dal pittore livornese Guglielmo Micheli, Llewelyn Lloyd aveva appreso come rendere la superficie marina nei suoi mille mutevoli momenti, come dipingere e soprattutto disegnare le navi, le vele, gli alberi, i pennoni e quei cento particolari che «fanno» un veliero, particolari magari insignificanti per i profani, ma importantissimi per i marinai.
Tanto consapevole di ciò da annotare nei suoi appunti: «[…] Ci sono regole nell’arte marinara, che è in un certo senso architettura, ci sono leggi di equilibrio e c’è la nomenclatura per il sartiame ed i pennoni e i buttafuori, che l’uomo di mare deve riconoscere in un dipinto, sia pure se una sola pennellata ne definisce il contorno e la macchia».
Per tutta la sua vita di artista Lloyd si attenne fedelmente alle preziose regole cosicché i bastimenti, i velieri, i «genovesini», che fermò in cento dipinti soddisfano sia l’appassionato di cose marinare che l’amatore d’arte. Per lui i piccoli velieri, le barche da vino che in quegli anni appoggiavano a Marciana Marina erano assai più che dei semplici soggetti per i suoi lavori: erano vecchi amici che, sempre gli stessi, ormeggiavano alle banchine del «suo» porto. Ad uno ad uno li conosceva, li salutava alla partenza, al ritorno e nelle tavolette preziose, nelle impressioni piene di luce e di vita li chiamava per nome: l’Ezilda, il Pappagallo, il Santa Lucia, l’Accordo, il San Marco.
Nella sua ricca produzione elbana vennero anche la stagione dei mestieri con i ciabattini, i rammendatori di reti, i pescatori, e quella dei ciuchini: di quel fedele compagno del contadino, assai diffuso allora nelle campagne elbane, Lloyd ha lasciato una ricchissima galleria. Soli, a gruppi, in ozio, carichi di legna, al sole, all’ombra, nei campi, alla marina, grigi, neri, chiarissimi, quei laboriosi animali furono oggetto infatti di uno studio continuo e attento che riprese più volte.
Nel 1929, probabilmente per i buoni uffici dell’ammiraglio Bernotti, marcianese, amico ed estimatore suo da vari anni, Llewelyn Lloyd venne invitato dal Ministero della Marina a partecipare ad una crociera che esploratori e siluranti della III Squadra Navale effettuarono nelle acque spagnole e portoghesi. Prese imbarco sulla Regia Nave Quarto eseguendo nel corso di quella crociera tutta una serie di tele e di tavolette che riprendevano le varie unità in navigazione o alla fonda nei porti stranieri, momenti particolari della vita di bordo. Grande il successo che questi lavori riscossero quando, a cura dello stesso Ministero, vennero esposti a La Spezia in forma privata: molti ufficiali tenevano ad un ricordo della crociera cosicché non solo Lloyd li vendette tutti, ma su precise e pressanti richieste dovette addirittura replicarne alcuni.
L’anno seguente Lloyd tornò alla sua Marciana Marina a dipingere con tranquillità i soggetti preferiti, a preparare qualche lavoro più impegnativo da esporre alla Biennale veneziana alla quale partecipava con regolarità ormai da molti anni, a scegliere, selezionare le tele e le tavolette da presentare nell’inverno a qualche mostra personale: teneva molto infatti ad esporre i suoi lavori più recenti e con una certa frequenza nella sua Livorno, fedele sempre a Bottega d’Arte, o in varie gallerie fiorentine.
Elencare tutte le opere che l’Elba gli ha suggerite, non a caso venne definito dalla critica «poeta dell’Elba», e segnalarne le presenze alle varie esposizioni alle quali parteciparono in Italia ed all’estero significherebbe catalogare centinaia di titoli senza molto aggiungere ai meriti e soprattutto alla sua conoscenza; piuttosto è opportuno rimarcare un particolare abbastanza curioso e sorprendente: nella pur copiosa produzione mancano completamente tele, tavolette, studi od impressioni di località elbane diverse da Marciana Marina, i suoi dintorni, Procchio. D’altronde sappiamo quanto raramente il pittore si allontanasse da Marina, e quando ciò accadeva era per far visita, a Procchio, agli Olschki o a qualche altra famiglia fiorentina che là villeggiava.
Meriggio sul Tirreno, L’orcio fiorito, Vento di Libeccio, Il Giardino dei Melograni, Monte Capanne, furono gli ultimi suoi lavori elbani prima dello scoppio di quel secondo conflitto mondiale che per Lloyd segnò l’inizio del periodo più triste della sua vita.
Per tradizione familiare egli aveva infatti mantenuto la cittadinanza inglese, condizione che subito rese assai delicata la sua posizione; ma il peggio venne dopo l’8 settembre, con l’occupazione tedesca: nel febbraio del 1944 venne arrestato e dopo cinque lunghi mesi in un campo di concentramento in Italia finì internato in Baviera dove, nel maggio dell’anno seguente venne liberato dagli Alleati.
Rientrato a Firenze riprese a dipingere ed appena la situazione glielo permise tornò al «Paradiso», alla sua casetta marinese e con giovanile fervore tornò anche a dipingere dal vero paesaggi familiari, ritrovati miracolosamente intatti.
Per qualche anno la vita parve riprendere i ritmi di sempre, il lavoro, la passeggiata serale, gli amici, ma una polmonite lo colse a tradimento, proprio nella «sua» casetta marinese: repentina e mortale e il vecchio maestro chiuse gli occhi per sempre. Aveva appena compiuti i settant’anni.
Testo parzialmente estratto dal libro di Ferdinando Donzelli (Edicart):
LLEWELYN LLOYD
1879-1949
Con testimonianze e contributi di Giampaolo Daddi, Gwendolen e Roberto Lloyd